Educazione letteraria

Giovani lettori, nativi digitali e abbandono dei libri: nulla di strano!

La fascia più forte dei lettori in Italia è compresa tra gli 11 e 14 anni, dato positivo, ma nel 2010 il picco si registrava tra i 14 e 17 anni. Questi dati ci dicono che i ragazzi, con la crescita, stanno perdendo l’abitudine alla lettura: fenomeno del tutto comprensibile.

L’immaginario collettivo delle giovani generazioni non è più dicastero esclusivo della letteratura: la cultura di massa non è più determinata solamente dai libri (vedi anche l’influenza esercitata dal mercato)

Una nuova generazione di nativi digitali, da un certo momento in poi, sostituisce il libro con gli audiovisivi, sempre più interattivi e “sociali”. Come mai? I nuovi media sono più interessanti, interagenti, reperibili, condivisi e accessibili. Inoltre sono gratuiti. E chiudere gli occhi di fronte a questo naturale dato di fatto non ci porterà a nulla.

Chi sono i lettori forti in Italia? I dati in nostro possesso da anni ripetono la stessa cosa: i ragazzi dagli 11 ai 17 anni. Loro e, beninteso, le donne: la sex ratio in questo caso è piuttosto costante. Le donne leggono più degli uomini, un primato che conservano praticamente in ogni fascia d’età (il gap si concretizza soprattutto tra gli young adults). La lettrice forte dipinta dalle statistiche Istat è una donna over 30, laureata, del centro-nord, con maggiore concentrazione verso nord-ovest.

Ma torniamo ai numerosi giovani che rappresentano un bacino di lettori con maggiore potenziale.

Ebbene, il dato positivo è piuttosto chiaro: in Italia sono gli adolescenti a leggere più di tutti. E le ragioni sono presto dette: stiamo parlando di individui in età scolare, perciò i libri fanno parte integrante della loro vita e della loro routine quotidiana. Tuttavia ci sono altri dati che meritano qualche riflessione in più.

Nel 2010 il picco di lettori nel nostro paese si trovava tra i 14 e 17 anni (un bel 65,4%). Secondo gli ultimi dati i nostro possesso, ora il picco si registra tra gli 11 e 14 anni (60,8%). La fascia d’eccellenza del 2010, 14-17 anni, si è abbassata a una cifra pari al 59,7%. Eccolo il dato su cui occorre riflettere.

Stando a queste percentuali l’abitudine alla lettura si perde mano a mano che si procede verso la maturità e, successivamente, l’età adulta.

Le ragioni sono molteplici e complesse, un campo di discussione nel quale Agorà Twain si inserisce spesso, attraverso critiche e proposte per il sistema scolastico (vedi qui, qui, qui e qui). Tuttavia questa volta vorrei portare l’oggetto della discussione altrove.

Dunque, i ragazzi in età scolare continuano a rappresentare uno zoccolo duro, ma stiamo lentamente perdendo i giovani lettori “autonomi”. Ovvero la lettura come pratica individuale continua a perdere colpi in una fascia d’età decisiva. I dati suggeriscono uno scenario nel quale, quando decade il “dovere” scolastico o accademico – perché è sempre bene ricordare che ogni anno ci sono sempre meno immatricolazioni all’università – molti giovani non mantengono il loro interesse verso la lettura.

Come mai? La mia affermazione potrebbe sembrare una provocazione, ma non lo è: io credo che sia un fattore del tutto normale, anzi, fisiologico. Oggigiorno la lettura non dipende unicamente dai libri tant’è vero che sempre più spesso alla lettura di un libro viene preferito qualcosa d’altro: ad esempio il web e gli audiovisivi.

Le giovani generazioni hanno appreso prima di tutti che la letteratura non è più il mezzo prediletto per creare/stimolare il loro immaginario, per scoprire nuovi mondi, per apprendere delle storie, o più in generale per conoscere, imparare, fruire emozioni. Quindi perché investire il proprio tempo libero sui libri? E questo credo che sia un dato di fatto che prima o poi, che lo si voglia o meno, umanisti, docenti, letterati, specialisti devono prendere sufficientemente in considerazione.

Al contrario mi trovo spesso a partecipare in discussioni dove prevale la miopia, l’intolleranza, il disfattismo. Un’insofferenza diffusa e a mio parere ingiustificata. Ritengo infatti inutile incaponirsi nella retorica del “ma dove andremo a finire?” o della lettura come “dovere” culturale e formativo (“alla loro età è sbagliato non leggere”).

Naturalmente si può e si dovrebbe fare molto di più per la promozione della lettura tra i giovani – in realtà è la diminuzione progressiva del numero di lettori complessivi e la crescita del tasso di analfabetismo di ritorno ad essere preoccupanti in Italia, soprattutto se si considerano i dati degli altri paesi europei – ma occorre anche comprendere le ragioni di questo fenomeno, conservando una certa dose di onestà intellettuale e disincanto.

Il libro, da alcuni punti di vista, rappresenta nel 2013 un oggetto, per certi versi, desueto, ma non per questo, si capisce, da abbandonare. Inoltre la lettura al giorno d’oggi può assumere vari aspetti e seguire diverse dinamiche (la dedizione al testo e il tempo di lettura in questi anni sono molto cambiati). Non si limita solamente al volume cartaceo o digitale e, in ogni caso, come ho accennato poco prima, credo sia naturale per un adolescente esplorare nuove esperienze sensoriali e interattive a discapito della consultazione di un libro, una pratica purtroppo intesa come non “al passo con i tempi” e spesso relegata al dovere scolastico.

Detto questo occorre sviluppare ulteriori considerazioni. Solitamente uso una metafora piuttosto banale per rendere chiari alcuni concetti.

Quando inventarono l’automobile molto probabilmente qualcuno pensò che questa invenzione rivoluzionaria avrebbe inevitabilmente segnato la fine dei tradizionali mezzi di locomozione, ad esempio la bicicletta. Con l’automobile si percorrono più chilometri in minor tempo: perché la gente avrebbe dovuto continuare a pedalare su due ruote? Eppure l’automobile inquina, mentre correre in bicicletta fa bene all’ambiente, a se stessi e ci infonde delle sensazioni positive; inoltre la bici ci può portare in luoghi dove l’automobile non può arrivare. Basta pensare alle pedalate in mezzo alla natura.

Ebbene, per questo motivo dovremmo pensare che sarebbe meglio produrre più biciclette? O che tutti dovremmo investire il nostro tempo in pedalate in mezzo alla natura? Non credo, si tratterebbe di una prospettiva improbabile.

Automobile/bicicletta: stiamo parlando di mezzi di locomozione diversi – per funzione, scopo, sensazioni. L’avvento dell’automobile ha inevitabilmente cambiato il nostro ritmo e stile di vita, ma la bicicletta non è scomparsa e probabilmente non scomparirà mai. La gente continuerà a pedalare, a correre, a passeggiare. Certo, occorrerà educare le nuove generazioni a pedalare, correre e passeggiare ma non dovrà essere un dovere “comprare” più biciclette, perché non sarà questa una prospettiva, o investimento, credibile per il futuro. Meglio scommettere su un’automobile a bassi consumi, una macchina sempre più ecologica, a misura d’uomo e rispettosa dell’ambiente. Oppure puntare su mezzi pubblici tecnologicamente perfezionati per decongestionare il traffico.

Fuor di metafora: i libri sono la cara e vecchia bicicletta, semplice e affidabile, sempre più sostituita, soprattutto in una certa fascia d’età, da altri mezzi di trasporto motorizzati, ovvero i nuovi media; su tutti gli audiovisivi – cinema, serie tv, filmati, videogames – e in seconda istanza il web, oggigiorno spazio sociale e ideativo predominante e imprescindibile, soprattutto se si considera il fatto che in rete non solo i ragazzi possono vivere, grosso modo, le stesse emozioni che in passato potevano cercare nei libri, ma possono fruire una mole di informazioni e sollecitazioni maggiore ed in minor tempo. Come se non bastasse il web è un luogo dove i giovani possono consumare rapporti sociali, per quanto virtuali e indisciplinati (messaggi, scambi di idee, di link, di materiali), con i loro simili.

Da questo punto di vista i nuovi media producono beni comuni con una portata di condivisione e socializzazione maggiore di un libro. Del resto la comunità di utenti digitali è ben più folta e vivace di quella dei lettori, soprattutto se consideriamo una determinata fascia anagrafica. Perciò se io sono un ragazzino e voglio condividere delle esperienze con i miei coetanei, il libro potrebbe non costituire il mezzo più efficace. Rivolgo la mia attenzione verso qualcos’altro.

Insomma, c’è poco da fare: da questo punto di vista non esiste partita. Il libro rimane un oggetto imprescindibile per la formazione di un individuo – età scolare – ma si tratta di un prodotto che in un secondo momento non può competere con il web e gli audiovisivi in relazione con le esigenze degli adolescenti contemporanei. Almeno questo sembra essere lo scenario ritratto da alcuni dati, al cospetto dei quali l’indignazione dei “grandi”, degli adulti e degli specialisti risulta essere sproporzionata, ingenua e fuori luogo.

Coloro che biasimano certe tendenze solitamente possiedono una scarsa dimestichezza con questi nuovi mezzi, che temono perché non comprendono. Un atteggiamento che impedisce loro di accettare un determinato status quo, in realtà alla portata dei cosiddetti “nativi digitali”.

I ragazzi nati negli anni ‘90, per non parlare dei millennials, hanno somatizzato questo trapasso con estrema naturalezza – del resto parliamo di individui comparsi in un’epoca in cui la Rivoluzione Digitale ha già messo radici, e che fa dell’ausilio della tecnologia un elemento fondante e intrinseco della loro esistenza. Una semplice nozione non esattamente accettata con facilità da coloro che sono cresciuti in un’epoca pre-digitale.

Eppure che il libro abbia perso potere e attrazione a favore di altri media non è di certo una novità! Non parlo solamente di vendite ma dell’incidenza che la letteratura ha nella cultura popolare.

Da almeno sessant’anni l’immaginario collettivo non è più dicastero esclusivo della letteratura: la cultura di massa non è più determinata solamente dai libri. Una volta erano i romanzi di Dumas o Salgari a plasmare la fantasia dei ragazzi, ora gli audiovisivi hanno assunto questa funzione che il web ha ulteriormente amplificato, rendendo questi media sempre più fruibili e, attenzione, interattivi: ecco una novità decisiva rispetto al recente passato.

È l’utente a decidere cosa guardare, quali contenuti fruire, alimentando un percorso autonomo che stimola la curiosità personale: cosa che non poteva avvenire, ad esempio, con la televisione – medium di massa ritenuto pasolinianamente antidemocratico e per certi versi dannoso per le nostre facoltà cognitive, in grado di incidere in maniera preponderante nella formazione di una nostra capacità di giudizio. In questo modo è possibile accedere ad una mole impressionante di contenuti, in qualsiasi momento, in minor tempo possibile, a proprio piacimento. Velocità, reperibilità, accessibilità, interattività, gratuità: scusate se è poco.

La fascia d’età che va tra i 14-17 anni, che fino a qualche anno fa rappresentava il picco di lettori in Italia, oggi costituisce una fase della crescita nella quale il ragazzo si affaccia a questo nuovo mondo multimediale e inizia a farne uso (anche piuttosto massiccio e se vogliamo inappropriato). Di qui il comprensibile allontanamento dai libri: i ragazzi occupano in maniera diversa il loro tempo libero, poiché i loro interessi, le loro aspirazioni, le loro passioni sono concentrati altrove.

Al contrario, mantenere un forte interesse verso la lettura, in un simile contesto, per un adolescente, significa operare uno sforzo maggiore, compiere una scelta “controcorrente”, “conservativa”, semplicemente non alla portata di tutti, poiché dipende molto dagli stimoli che il ragazzo riceve dal proprio ambiente o dalle frequentazioni (amici, scuola, famiglia).

Calcolando tutte queste variabili con sufficiente distacco ci si accorgerebbe come sia sempre più difficile per un ragazzo mantenere vivo l’interesse verso la letteratura, in una fase della vita protesa alla voglia di sperimentare. Sensazioni e desideri che il libro, cartaceo o digitale che sia, non sempre può sostenere a livello di esperienza diretta e gratificazione immediata.

Non sempre risulta semplice percepire i significati, i colori, i messaggi che si nascondono tra le pagine di un libro. Difatti la lettura richiede un’alfabetizzazione mentale, un esercizio intellettuale, una pratica ed un sacrificio maggiori e quotidiani rispetto alla semplice fruizione audiovisiva, di gran lunga più accessibile e popolare. Il libro possiede sicuramente altre peculiarità e punti di forza, ma si tratta di un oggetto parzialmente desueto se comparato con le potenzialità tecnologiche degli altri media.

Inoltre occorre aggiungere sul piatto della bilancia un nuovo e imprescindibile fattore: il mercato. Dietro al web e agli audiovisivi esiste un’industria imponente che giustamente investe molto sui nuovi media, date le potenzialità del mezzo e l’allargamento progressivo dell’utenza. Numeri che nulla hanno a che vedere con quelli dell’editoria libresca: anche da questo punto di vista parliamo di una guerra persa in partenza. Tale disparità di investimenti sta a significare che i prodotti audiovisivi avranno una diffusione assai maggiore.

La questione sta quindi nell’investire culturalmente anche in questi canali (le automobili e i mezzi pubblici di cui si parlava nella metafora), in modo da preservare una certa qualità dei contenuti, combattere l’anarchia del profitto e sconfiggere l’approssimazione delle dinamiche di utilizzo del mezzo (ora come ora lasciati al caso o alla (in)competenza individuale), penso soprattutto a internet.

Una serie tv, giusto per fare un esempio, distribuita sui vari mercati nazionali, con dei buoni contenuti, che sappia coinvolgere il pubblico, che sia in grado di evolvere in un vero e proprio fenomeno di costume e di condivisione sociale, sapendo anche competere nel mercato, oggigiorno possiede un potenziale di diffusione mille volte superiore rispetto a quello di un ottimo romanzo. Senza contare che in questi ultimi tempi i titoli che si vendono di più in libreria sono casi editoriali di portata globale dal contenuto alle volte pessimo (la narrativa non è sempre un luogo culturalmente confortevole o esente da critiche e malcostumi, anzi!).

E nell’altro versante della montagna che succede? In alcuni casi la narrativa ha tentato di rincorrere i nuovi media – tutto è iniziato con il cinema e in un secondo momento con la televisione – diventando sempre più visibile, per non dire cinematica, mutando addirittura la prosa e la lingua (sono state profonde le influenze derivate dal linguaggio televisivo negli anni ’80 e ’90). Una mutazione, anche questa, fisiologica, che molti hanno potuto segnalare ed analizzare.

Tuttavia un libro non potrà mai essere cinema o tv e non potrà nemmeno sostituire gli audiovisivi, come abbiamo detto, ben più competitivi, fruibili, accessibili e coinvolgenti. Quest’ultimi sono un’altra cosa, mentre la letteratura e la narrativa vorrebbero pretendere di essere anche quello che non sono. Un atteggiamento che si riflette sui comportamenti di chi intende promuovere la lettura con uno spirito oggettivamente conservatore, attraverso mezzi ed iniziative inefficaci.

Insomma: la tecnologia sta cambiando sempre di più le nostre abitudini, soprattutto quelle delle nuove generazioni. Occorre tenere conto di questi cambiamenti evitando manicheismi e vedute ristrette. Il dato di fatto è piuttosto lampante: la “lettura” e l’apprendimento ora come ora non prescindono più unicamente dai libri e la letteratura non rappresenta più il vettore più popolare nel quale narrare e fruire delle storie.

La fascia maggiormente colpita da questo cambiamento è quella che fino a qualche anno fa rappresentava la fascia maggiore di lettori: dato assolutamente comprensibile. Ciò che rimane meno comprensibile, e questa volta sì si tratta di un aspetto biasimabile, è il gap che l’Italia possiede rispetto ai dati che provengono dagli altri paesi europei in termini di consumo di libri. Poiché stiamo parlando di nazioni nelle quali si è verificata la medesima “rivoluzione digitale” ed evoluzione dei media. Eppure i libri continuano a difendersi meglio che in Italia, dove probabilmente la letteratura si è sempre mantenuta un po’ troppo distante dalle masse.

Naturalmente su questo punto c’è ancora molto da fare. Il rischio è quello che le future generazioni, millennials e nativi digitali, perdano sempre di più il contatto con i libri.