Un gruppo di scrittori, editor e blogger ha accolto l’invito di Agorà Twain, scrivendoci cosa pensano della querelle tra Gianrico Carofiglio e Vincenzo Ostuni.
Credo conosciate tutti quanti l’antefatto. A causa di alcuni pareri espressi su Facebook da Vincenzo Ostuni, editor di Ponte alle Grazie, Gianrico Carofiglio, scrittore ed ex magistrato, nonché autore de Il silenzio dell’onda – terzo classificato al Premio Strega di quest’anno – ha avanzato una richiesta di risarcimento danni (in un primo momento aveva addirittura pensato di sporgere querela in sede penale). Ecco le parole incriminate di Vincenzo Ostuni:
«Finito lo pseudo fair play della gara, dirò la mia sul merito dei libri. Ha vinto un libro [Inseparabili, di Alessandro Piperno ndR] profondamente mediocre, una copia di copia, un esempio prototipico di midcult residuale. Ha rischiato di far troppo bene anche un libro letterariamente inesistente [ll silenzio dell’onda, di Gianrico Carofiglio ndR], scritto con i piedi da uno scribacchino mestierante, senza un’idea, senza un’ombra di responsabilità dello stile, per dirla con Barthes».
Alla luce di tali avvenimenti, che idea vi siete fatti dell’accaduto? Quella di Carofiglio vi sembra una reazione normale, legittima, opportuna? Allo stesso modo il giudizio di Vincenzo Ostuni vi è parso corretto, nel tono e nei modi, considerando anche la sede dove sono stati espressi tali pareri, ovvero il proprio profilo di Facebook? Dove finisce la semplice opinione ed inizia la diffamazione? È lecito attaccare impunemente, magari schermandosi dietro l’alibi della “critica letteraria”, della “libertà d’opinione” o della legittima “stroncatura”? A voi la parola.
Mario Bonaldi, editor ISBN Edizioni:
Devo premettere che il mio grado di interesse verso la vicenda non è altissimo. E non vorrei nemmeno entrare nel merito dei romanzi in questione. A qualcuno potranno piacere, ad altri fare schifo; chi è colui che nel fine luglio 2012 può ancora dirsi così sicuro di qualcosa? Io no di certo.
Parlando in generale, i giudizi troppo perentori mi sono sempre sembrati solo una proiezione dell’ego di chi li pronuncia. E per quanto riguarda la risposta dell’autore offeso, non capisco perché uno dovrebbe prendersela tanto per una cosa del genere. Forse per insicurezza. Comunque, se proprio si vuole esibire un gesto, il migliore rimane quello compiuto tempo fa da Michele Mari: presentarsi di persona dal recensore, con un bello schiaffone pronto in mano. È una reazione più sana, quantomeno.
Luigi Romolo Carrino, scrittore:
Ponte alle Grazie è del Gruppo GeMS (quello di Garzanti e di Longanesi, per dirne due) e a Trevi, secondo allo Strega di quest’anno, un po’ brucia (anche a me, per la verità), e brucia soprattutto a un editor di Ponte alle Grazie. Lo Strega funziona a ‘compagnielli’. Gli schieramenti sono precisi e decisi. Il costo, sostenuto dagli autori candidati, per le telefonate ai 400 e passa amichetti della domenica, per farsi votare, finanzierebbero un bellissimo ospedale in Tanzania. Perciò, se lo scandalo c’è, esiste da un po’ di anni. Lo so io che non sono nessuno, lo sa Ostuni, lo sa anche Spagnol.
Detto questo, di cosa stiamo parlando?
Un lettore ha il diritto di dire a un autore “il tuo libro mi fa schifo”. E tant’è: su questo non si discute.
Diversa la questione della critica, ovvio. Ma il ‘pensiero’, manifestato su un social network, di un Ostuni incazzato, io lo comprendo. Dire a uno scrittore sei un ‘mestierante’ non trovo sia diffamante. Nell’accezione dispregiativa (mi pare di capire), ci si riferisce a uno che svolge male un’attività. E questo, nel caso di Carofiglio, è vero oggettivamente: basta una comparazione. I suoi libri sono fatti con lo stampino. Non c’è stile. La trama è irrisoria. La frase, spesso, zoppica. Perciò, nel pensiero di Ostuni (e anche nel mio), Gianrico Carofiglio è uno ‘scrittore di poco conto’, ovvero uno scribacchino. Ora che accade? Che Carofiglio chiede i danni anche a me? E i danni di cosa? L’opinione di Ostuni (men che meno la mia) non sposterà le sue vendite, non precipiterà il rate di interesse del pubblico perché Ostuni ha dichiarato che a lui, Carofiglio, proprio non gli piace. Il magistrato nostro dovrebbe saperlo: quando si chiedono i danni è perché i danni ci sono stati o ci saranno. Come appunto sa, il magistrato nostro, che non può querelare chi esprime un proprio giudizio in libertà (poi non so, magari una bottarella alla Costituzione, se ci troviamo, gliela diamo pure per piegarla ai nostri desiderata…).
Ma per cortesia…
Francesca Casùla, editor Aìsara Editore:
Cosa c’entra la critica letteraria con uno status di Facebook? Non credo che Ostuni, scrivendo la sua opinione sul proprio profilo (che non è pubblico), intendesse fare una recensione, quindi neanche una stroncatura. Altrimenti si sarebbe ingegnato a portare argomentazioni e non avrebbe sintetizzato con un giudizio personale, come si fa quando si parla tra amici e non si pensa di essere spiati. Piuttosto, penso che il Corriere della Sera sia stato ben poco corretto a renderlo – appunto – pubblico. Quindi la mia domanda semmai è: è questo il giornalismo? È fare informazione, questo? Sì, sono domande retoriche.
La reazione di Carofiglio sarebbe forse giustificata (e comunque non elegante) se qualcuno avesse usato queste parole su un giornale, ma così, è come se lo denunciasse per avergli dato dello “scribacchino mestierante” a una cena tra amici e qualcuno (ancor meno elegante) lo avesse ripreso e sbattuto su Youtube.
Lorenza Dalai, Dalai Editore:
Ostuni, non Trevi, ha un evidente problema di ego. E non mi va di sprecare altre parole per un personaggio, preferisco parlare di persone, soprattutto se di talento. Trevi è un ottimo scrittore, non c’è bisogno che lo dica io, ma questo suo libro è molto al di sotto delle sue potenzialità. Ci aveva abituati molto meglio. Carofiglio sbaglia, ai mediocri non si risponde, li si lascia alle loro provocazioni. Rondolino, per esempio, andrebbe, secondo me, in qualche modo sanzionato per quello che è riuscito a dire a Mario Calabresi. Non mi risulta però, ma sono in vacanza da ieri e quindi non aggiornata, che Calabresi l’abbia querelato.
Alberto Garlini, scrittore:
Dal mio punto di vista bisogna accettare le critiche, anche se sferzanti. Si possono discutere se sono sbagliate (o incorrono come spesso succede in grossolani errori materiali), ma fare causa mi sembra sbagliato. Cioè non riesco a concepire come si possa anche solo pensarlo.
Franz Krauspenhaar, scrittore:
A me quella di Carofiglio sembra una reazione esagerata. Dovrebbe rispondere coi fatti, o non rispondere affatto. Se Ostuni ha scritto una bestialità Carofiglio potrebbe provarlo. Siamo ancora nel diritto di Critica. Se Ostuni ha criticato duramente, è nel suo diritto. Certo, io un’idea vera non ce l’ho, ed è importante, anzi basilare aver letto il libro. Però non vedo perché Ostuni debba essere zittito dagli avvocati. Ci pensi Carofiglio.
Cecilia Lavopa, del blog Contorni Noir:
Conduco un blog da più di un anno e mezzo, ho letto libri di tutti i generi, belli e meno belli, ma non ho mai fatto una recensione in cui criticavo o offendevo lo scrittore. Un romanzo può non essere nelle tue corde, può non corrispondere alle aspettative. Ma non si può mettere in discussione lo scrittore “in toto”. Premesso che non ho letto finora romanzi di Gianrico Carofiglio, non entro nel merito dei contenuti, ma nella forma della critica riportata dall’editor di Ponte alle Grazie. Si può prevedere la stroncatura di un libro, senza obbligatoriamente scegliere epiteti poco eleganti nei confronti dell’autore. E vi è modo e modo di riportare il proprio giudizio. I network possono facilitarne la diffusione, Facebook è uno di questi. Ma può essere un’arma a doppio taglio. Certo, la querela mi pare una reazione spropositata al gesto. Spettacolarizzazione? Pubblicità? Gianrico Carofiglio, a mio avviso, da tutto questo ci guadagnerà. Penso che molti, incuriositi dal “battage” letterario, andranno ad acquistare il romanzo per rendersi conto di persona quanto ci sia di vero nella critica – se vogliamo chiamarla così – di Vincenzo Ostuni. Sono a favore della libertà di espressione, certo, ma sempre civile e educata. E poi, non è sufficientemente oberato di lavoro il nostro sistema giudiziario, per doversi occupare di tali questioni? Essendo lo scrittore abile nel difendersi con le armi che meglio conosce, sarebbe assolutamente in grado di rispondere per le righe, tramite un fendente in “carta e penna”, anziché in carta bollata.
Laura Liberale, scrittrice e poetessa:
Io sono dell’idea che se stronchi (e ci mancherebbe che tu non sia libero di farlo!) devi farlo con criterio e con un discorso più o meno esteso. Dire di uno che è “scribacchino mestierante” e della sua opera che è “letterariamente inesistente”‘ cosa significa? Tutto e niente. La responsabilità di motivare la stroncatura con argomenti ti pertiene maggiormente se sei un editor di una casa editrice un addetto ai lavori. Lo pretendo da te. E devi essere consapevole del peso dei tuoi commenti, pur quando in una bacheca virtuale, pseudo estensione immateriale del salotto di casa. Nell’epoca del mordi e fuggi commentatorio, un po’ di riflessione, di articolazione, di misura, forse non guasterebbero. E ne gioverebbero pure le stroncature, non più semplici battute da mercato. Non dirla con Barthes, insomma. Ma dilla bene con parole tue…
Gianluca Mercadante, di Pulp Libri:
Credo che la reazione di Carofiglio sia del tutto legittima, chi conosce la Giurisprudenza non può di certo eccepire nulla in merito. Esiste una legge e, checché se ne dica, quando serve è bene utilizzarla. Resto perplesso sull’atteggiamento da parte di Vincenzo Ostuni. Perché scrivere di critica letteraria su Facebook? Non mi pare sia il posto giusto. Inoltre, se critica letteraria dev’essere, allora che venga giustamente argomentata. Definire un’opera pubblicata, e dunque soggetta per sua natura all’opinione di terzi, come un libro “scritto con i piedi da uno scribacchino mestierante, senza un’idea, senza un’ombra di responsabilità dello stile, per dirla con Barthes”, palesa soltanto un attacco aperto e di quel libro non ci dice nulla. Trovo francamente triste leggere sempre più spesso recensioni in cui accade questo. Articoli in cui ci si dimentica del lavoro degli altri mettendo invece in mostra soltanto sé stessi e il parere che di quel lavoro il critico di turno ha maturato. Vero è che un articolo si presta bene a diventare il luogo di confronto fra il lavoro di due singoli, lo scrittore che ha scritto e il critico che critica, ma ciò non significa disarmare per partito preso il lettore dei necessari strumenti con cui potrebbe a sua volta confrontarsi con ambedue le situazioni in gioco. Questo è sempre formalmente scorretto, sia che lo si faccia su Facebook, o in sedi, a mio avviso, meglio opportune.
Colomba Rossi, Line Editor E/O Edizioni:
Se decidi e accetti di partecipare a un premio come lo Strega, è evidente che lo pseudo far play che regola le relazioni tra gli sfidanti deve continuare anche dopo. Quella di Ostuni è stata una reazione esagerata e scomposta. Quella di Carofiglio forse esagerata ma comunque legittima. Il fatto è che le critiche che sfiorano l’insulto e il dileggio sono ormai una pratica diffusa e sempre più spesso sono veri e propri attacchi alla possibilità di successo di un libro e di un autore. Credo sia importante suggerire norme di comportamento che abbiano come unico obiettivo lo sviluppo della lettura, della letteratura e dell’editoria di qualità.
La prima è senz’altro quella di evitare a ogni costo coinvolgimenti in questo tipo di avvilenti scaramucce. Meglio il silenzio e impegnare le proprie energie nel lavoro.
Carola Susani, scrittrice e docente dei laboratori di scrittura di Minimum Fax:
Certo è fastidioso che qualcuno parli male di te. Può addolorare. Ma è dall’adolescenza che sappiamo che può succedere. Anzi, che succede, inesorabilmente, come la caduta dei gravi. Chi più, chi meno, lo abbiamo accettato. Se poi si è personaggi pubblici, e uno scrittore certo lo è, può capitare che si parli male di te e del tuo lavoro in sedi pubbliche, come i giornali, o in sedi al confine tra pubblico e il privato com’è Facebook. Ostuni ha dato del pennivendolo e scribacchino a Carofiglio sulla sua bacheca di Facebook, davanti a un migliaio di amici. Se una recensione feroce non avrebbe avuto alcuna rilevanza per il diritto, uno stato di Facebook ne ha ancora meno. Ma cosa c’è di meno di niente? Direi: niente di niente. Sarebbe stata pari e patta se Carofiglio avesse detto male di Ostuni magari a una cena, davanti alla sua platea di conoscenti, se avesse condiviso su Twitter una foto di Ostuni con il naso rosso da pagliaccio o, a voler proprio esagerare, avesse scritto un articolo di fuoco e l’avesse pubblicato sulla “Lettura”. Senza grande sforzo, Carofiglio poteva farlo, ci si sarebbe persino divertito. Così, invece ha fatto una sciocchezza. Una sciocchezza grave. Se tutti i personaggi pubblici, sportivi, attori, politici – pensate Monti, Elsa Fornero, o anche Bersani, quanti sberleffi su Facebook subiscono ogni giorno – querelassero chi dice male di loro sui giornali o in rete, e se addirittura il diritto gli desse ragione, avremmo una società in cui taluni rimpinguano le casse a ogni fiato degli altri e gli altri – sempre accorti, con due piedi in una scarpa, possibilmente zitti. O in alternativa: tutti zitti, così da non sollecitare contenziosi o conflitti. Una società piuttosto rigida, in cui libertà d’espressione è svaporata, la libertà di espressione più minuta, quella sui cui si fonda tutto.